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Quelli che “a me non piacciono le etichette”

Quante volte ho sentito dire – e ho detto io stessa in passato – “a me non piacciono le etichette”. Sembra che ci sia un senso di libertà nel dirlo, sembra che si sia davvero anticonformisti, che ci si elevi al di sopra degli altri.

In realtà oggi la penso diversamente, o meglio ammetto – con sincerità – che quando  lo dicevo, lo dicevo perché davvero non mi conoscevo abbastanza e avevo paura che gli altri mi avrebbero fraintesa se mi fossi inserita in un qualcosa di cui non ero sicura. Quando uno dice “non mi piacciono le etichette” in realtà sta sicuramente dicendoho paura delle etichette”.

Foto by Pixabay

Le cosiddette etichette hanno la funzione di delimitare delle categorie per far sì che gli altri ti capiscano. Le persone hanno bisogno di inquadrarti e di capirti, così come tu hai lo stesso bisogno verso di loro, e su questo non ci piove. Diciamo anche che, in un’epoca storica come la nostra, in cui il crescente isolamento porta le persone a volersi sentir parte di un gruppo, c’è  un certo desiderio di inserirsi in un settore per avere la sensazione di condividere qualcosa. C’è quindi una tendenza ambigua: si desidera la categoria perché fa sentire – spesso –  uniti e dà un senso di appartenenza (“Allora… cosa sono? Sono vegano o vegetariano? Sono gay o sono bisex? A quale gruppo facebook devo iscrivermi?”) ma al tempo stesso la si vede come una gabbia (“E se poi scoprissi di non essere gay…? E se poi non volessi più far parte di quel gruppo?”).

Che le categorie siano limitanti – perché la realtà e l’essere umano sono molto più complessi dei vari compartimenti che creiamo – è vero (e questa è una delle prime cose che ti insegnano quando studi antropologia culturale: Lévi-Strauss si chiedeva: “dove finisce la natura e dove inizia la cultura?”) ma una volta che uno è consapevole di questi limiti, è anche libero di usare le categorie come meglio crede, entrando ed uscendo da esse con flessibilità e spirito di adattamento. Sta poi alla persona farsi capire dagli altri.

Foto di v-a-n-3-ss-a-da-pixabay

Ad esempio: io non mangio né carne né pesce, non compro latticini (ma i gelati li mangio) e di uova mangio quasi esclusivamente quelle delle galline allevate in campagna; non compro capi in pelle e sono molto attenta, in generale, a tutto ciò che acquisto. Non rientro completamente nella categoria “vegana” ma neanche in quella classica di “(latto-ovo-)vegetariana”… quindi, affinchè gli altri mi capiscano, dico “sono vegetariana tendente al vegan” e nel dirlo non mi sento meno “chiara” di come potrei sentirmi se dicessi “mangio questo però non mangio quello, né quell’altro. Però quell’altro ancora sai che lo compro?”. Quando vado al ristorante, per farmi capire dal cameriere, chiedo un menù per vegetariani, non chiedo un menù  “per chi non mangia né carne né pesce, compra i gelati ma non i latticini e di uova però – mi raccomando!- solo quelle della vicina di casa!”. Tanto per capirci. Il cameriere mi chiederebbe: “mi scusi, ma lei da dove salta fuori?” Perché a lui le etichette servono eccome, per sapere  cosa deve portarmi.

Allora mi chiedo: perché devo complicare la vita agli altri?

Foto by Pixabay

Molti pensano, come io credevo in passato, che le categorie tolgano la libertà e ingabbino le persone; in questo modo innescano una vera crociata contro l’etichetta ma è una crociata senza senso perché nel mondo occidentale, in questa realtà storica, nel 2018, le categorie servono per farsi capire dagli altri, per facilitare il processo comunicativo, servono per comodità, per fare ordine. E basta. E allora? Cosa c’è di male? L’importante è non identificarcisi. Se uno ci si identifica – o ha paura di usarle –  secondo me  o non ha ancora capito bene chi è oppure teme di essere fagocitato in qualcosa, perché probabilmente non si sente ancora del tutto padrone della propria vita.

Gli approcci distruttivi, per quanto possano apparire rivoluzionari, secondo me nuocciono alle cause stesse. Credo invece che un approccio critico e ragionato sia molto più realistico. Inoltre ho verificato, nella mia esperienza personale, che non è affatto vero che chi fa parte di uno stesso gruppo, e quindi condivide la stessa categoria,  ha ideali comuni. Ma proprio per niente.

Autrice: dott.ssa Dhyana Cardarelli – Verde speranza blog (www.verdesperanza.net)

[Ultima modifica all’articolo: 14 febbraio 2021]

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DHYANA VERDE SPERANZA

Ciao, sono Dhyana e da piccola sognavo di cambiare il mondo ma tutti mi dicevano che non era possibile. Col passare del tempo ho capito che è vero, non è possibile, ma si può partire da se stessi, migliorarsi, crescere ed essere così di esempio - e di aiuto -anche agli altri.
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