Questo articolo è una sorta di “dietro le quinte di una consulenza di floriterapia” per far capire che i criteri con cui i fiori si scelgono (o per lo meno si dovrebbero scegliere) all’interno di una consulenza non sono esattamente quelli che sempre ci si potrebbe aspettare.
“Scusi, perché mi ha dato/non mi ha dato questo fiore?”; oppure “Non mi sento rappresentata/o dalla descrizione di questo fiore” sono frasi che i naturopati e i floriterapeuti prima o poi si sono sentiti dire.
Ho notato che nei clienti c’è un certo modo di pensare: spesso credono che se il terapeuta dà o non dà certi fiori allora loro “sono” in un certo modo, o per lo meno sono stati “visti” in un certo modo. Questo succede per via di errori di interpretazione che passano per la lettura della formula (l’elenco dei fiori scelti) e che li portano ad attribuire al terapeuta certi pensieri.
Dunque, ci sono due modi per prendere i fiori:
1) attraverso l’autotrattamento
2) e attraverso un consulente.
L’autotrattamento spesso funziona ma comunque ha i suoi limiti, sia perché spesso viene fatto sulla base della consultazione di manuali non molto approfonditi, sia perché non vi è il necessario distacco emotivo, cioè: trovandosi il soggetto in una situazione di disequilibrio potrebbe mancargli la lucidità per vedere proprio il problema reale, quello che andrebbe davvero trattato con la floriterapia (lo spiego meglio al punto 6).
Vediamo quindi come funziona realmente (o dovrebbe funzionare!) il criterio di selezione dei fiori da parte di un terapeuta. Foto by Pixabay[/caption]
1) Il cliente va in consulenza perché sente determinate emozioni disturbanti, o comunque sente di non riuscire a superare un certo limite caratteriale (ad es. non riesce a dire di no quando lo vorrebbe); quello che gli sembra più logico è che il terapeuta gli dia dei fiori che corrispondono a quello stato d’animo, es. “Sono arrabbiata, quindi mi darà dei fiori per la rabbia.” Questo è vero fino a un certo punto perché comunque i fiori non vanno considerati come dei farmaci; essi servono a riequilibrare quindi sì, se sei arrabbiato è chiaro che riceverai un fiore per la rabbia ma il terapeuta, se è bravo, deve capire anche perché ti viene questa rabbia. E deve capirlo a prescindere da quello che tu gli dici a parole (continua a leggere l’articolo per capire cosa voglio dire) e quindi potresti ritrovarti nella miscela dei fiori a cui non avresti mai pensato, infatti…
2) …alcuni fiori sono collegati tra di loro, cioè laddove c’è ad es. uno stato X c’è anche uno stato Y soggiacente e quello stato Y c’è, indipendentemente da quanto ne sia consapevole il cliente. Ed ecco che magari il cliente dice “Mi hai messo Sweet chestnut ma io non mi sento così angosciato” ma il fatto che l’angoscia non la percepisci non vuol dire che non ci sia, e questo un terapeuta bravo lo sa.
3) Il linguaggio: spesso le persone pensano di aver bisogno di un determinato fiore perché usano le parole sbagliate. Magari questa persona è profondamente arrabbiata ma non può esprimere la sua rabbia, allora si sfogherà con un nervosismo diffuso. Si sentirà dire allora che è agitata o polemica e verrà in consulenza lamentando l’agitazione e magari penserà che le serve Impatiens; ma il terapeuta deve capire bene se l’agitazione di cui parla il cliente è davvero l’agitazione di Impatiens o è altro (rabbia, appunto). Ed ecco che tu ti aspettavi Impatiens e invece ti ritrovi Holly o Willow. Se il terapeuta si basasse solo sul linguaggio del cliente, senza approfondire, rischierebbe di dare dei fiori sbagliati.
4) La gerarchia: ci sono aspetti più urgenti di altri da trattare; a volte vengono fuori anche 10 fiori ma non sono tutti così urgenti e la bravura (e la difficoltà) del terapeuta sta proprio nel fare la scelta finale.
5) Un altro motivo di sorpresa quando si legge la formula è dato dalle informazioni imprecise scritte su certi manuali, come ad es. la differenza tra Mimulus e Aspen in cui si associa Mimulus alla paura del buio (considerata una “paura nota”), quando invece questa va trattata con Aspen.
6) Ma veniamo ora all’aspetto più importante in assoluto: il capire dov’è lo squilibrio e scegliere i fiori che davvero servono. Cosa voglio dire? Voglio dire che il terapeuta non può sempre basarsi sulla richiesta del cliente senza ragionarci un attimo, perché spesso questa richiesta è formulata proprio dalla sua parte “squilibrata”! Mettiamo caso che venga in consulenza una persona che lavora tanto, troppo; mettiamo che questa persona venga perché è stressata e vuole superare questo stress per tornare a lavorare. Una simile richiesta è formulata dalla sua parte “squilibrata” (la persona lavora troppo e vuole i fiori proprio perché vuole continuare a farlo!) ma aiutare in quel senso significa continuare ad indurre ancora più in errore il cliente, peggiorandogli la situazione, oltre a non avere – il terapeuta – un comportamento corretto. E’ la parte squilibrata che vuole tornare a lavorare; quello di cui ha relmente bisogno quella persona è invece la capacità di darsi dei limiti, di accettarli e di darsi il permesso di riposare.
Il ruolo del terapeuta, quindi, non è quello di accontentare sempre il cliente ma di riequilibrarlo, e quello che realmente serve per riequilibrare non è detto che corrisponda a quello che lui chiede.
NB: Le spiegazioni specifiche sul perché il terapeuta abbia scelto o non scelto un certo fiore non rientrano nel setting della consulenza, sia perché non servono ai fini della terapia, sia perché fornire informazioni non necessarie può portare – a volte – ad inutili fraintendimenti. Quello che è importante, invece, è chiarire fin da subito come lavorano i fiori e cosa ci si può davvero aspettare dal trattamento e dal cocktail scelto, fermo restando che le essenze sono un aiuto per evolvere e stare meglio ma non sostituiscono un percorso importante di cambiamento, ove questo sia necessario.
Autrice: dott.ssa Dhyana Cardarelli – Verde speranza blog (www.verdesperanza.net)
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Articolo già pubblicato sul Verde speranza magazine di dicembre 2021.
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