Ultimamente tutti parlano del proprio percorso spirituale, tutti dicono di fare un percorso spirituale e in un certo senso se ne vantano. Poi però osservo bene queste persone e a volte resto perplessa perché, ad esempio, vedo individui che si dichiarano buddhisti ma che non hanno capito niente del non attaccamento, vedo gli antroposofi diventare quasi arroganti perché secondo loro “questa è l’unica via giusta per l’uomo occidentale”, vedo gente fare yoga, parlare di amore e poi sputare veleno sullo straniero. Insomma, vedo persone professarsi spirituali a parole… ma poi non lo sono nei fatti!
In realtà credo che il fraintendimento nasca proprio dalla dicitura “percorso spirituale”. E’ infatti una dicitura incompleta e facilmente fraintendibile perché il percorso per evolversi (cioè per acquisire consapevolezza) non è solo spirituale ma è soprattutto personale, pratico e psicologico. O, se vogliamo, affinché sia spirituale deve essere necessariamente anche personale, pratico e psicologico. Uno che non lo sa, però, crede che sia sufficiente cambiare religione, leggere molti libri e/o mettersi a meditare. La spiritualità, invece, parte da quello che fai nella vita quotidiana, da come tratti sia te stesso che gli altri.
“Imparare a dare quello che vogliamo ricevere è la vera legge dell’attrazione.”
(Annemarie Postma)
Fare un percorso spirituale significa fare qualcosa di pratico per riavvicinarsi a Dio. Ora, per la maggior parte delle persone questo “fare qualcosa di pratico” significa meditare, fare yoga, recitare mantra e fare altre cose “comandate” da una religione (o da un mix di religioni e credenze varie personalizzate) in genere orientale (ora va di moda il buddhismo, ammettiamolo).
Quindi: una persona medita ed è convinta che sta facendo il suo percorso.
Bene: questa persona in realtà non ha capito niente. O meglio, ha capito parzialmente, perché il cosiddetto percorso spirituale deve essere necessariamente accompagnato da un approfondito lavoro per conoscere se stessi, conoscere i propri lati ombra ed armonizzarli. Il percorso è sì spirituale, perché ti porta a ricollegarti con te stesso e quindi con Dio (poiché tu sei una parte di Dio!), ma deve essere anche psicologico perché bisogna scavare dentro di sé, maneggiare i propri scheletri impolverati, inorridire di fronte ad essi e trasformarli. E deve avere una coerenza anche sul lato pratico della vita perché se tu mediti ma poi fai i dispetti al vicino di casa c’è qualcosa che non va.
D’altronde le ripetute relazioni proiettive in cui cadiamo, i continui giudizi in cui cadiamo, il continuo disamore in cui cadiamo sono la prova che il percorso spirituale, così come oggi viene comunemente inteso, è carente di qualcosa.
Una volta integrati – e armonizzati – i lati ombra, emergerà il proprio vero carattere. Uno dice: “Tizia è sempre buona e tranquilla.” Ma sicuro che quello è il suo carattere? Non è che quell’apparente tranquillità nasconde le sue paure? Una persona che non discute mai, che svaluta il proprio lavoro, che si fa mettere i piedi in testa avrà della rabbia repressa dentro di sé. Una rabbia con cui, anche se medita dieci volte al giorno, dovrà fare i conti.
Un percorso evolutivo dovrebbe aiutarci come prima cosa ad amare noi stessi, a trattarci (e a farci trattare) bene e a puntare alla realizzazione della nostra vocazione personale. Ciò significa che una persona “spirituale” dovrebbe guarire le sue ferite interiori e vivere (o per lo meno cercare di vivere) secondo la propria natura (la natura vera, però! Quella senza sovrastrutture!). Se fai meditazione ma poi sotto sotto ti disprezzi e vivi contro la tua natura, probabilmente non stai andando nella giusta direzione.
Poi certo, uno deve anche scegliere in cosa credere: credo nella reincarnazione? Credo nel karma? Allora, a livello pratico cercherò di essere coerente con ciò in cui credo e farò di tutto per seminare bene (invece vedo molti sedicenti buddhisti seminare odio, pagare in ritardo, puntare il dito sul prossimo ecc. e mi chiedo: “ah, ma non si doveva seminare bene?”).
A mano a mano che la persona si conosce e si accetta, a mano a mano che armonizza i propri difetti, inizia a sperimentare un senso di serenità interiore, di amore e compassione.
La persona che ha fatto – o sta facendo – veramente un percorso la riconosci perché non giudica, perché non è aggressiva bensì comprensiva, perché si fa rispettare, perché si fa valere ed invita gli altri a fare altrettanto. La riconosci perché aiuta ma non si fa sfruttare, perché onora la natura, perché ama gli alberi, perché sente Dio ovunque ed emana spiritualità dal suo stesso volto. La riconosci perché ha sofferto e quindi ti capisce, si commuove con te, ma non si fa schiacciare. La riconosci perché è solida, perché è matura, perché non ha un ego gigantesco. Non dà più la colpa agli altri ma è padrona delle sue scelte e se ne assume la responsabilità. La riconosci perché è consapevole: la realtà la vede, si rende conto delle cose, delle piccole e grandi manipolazioni, e non ci casca. Sa di poter sbagliare, si rende conto degli errori e se sbaglia verso qualcuno sa chiedere scusa. Inoltre non va a sbandierare agli altri la propria spiritualità, non va a dire in giro “io sono spirituale”: diffidate sempre da chi ostenta il proprio percorso perché dietro a tante parole spesso c’è solo un grande ego ed un immenso vuoto.
La vera conquista è però sicuramente la capacità di amare: non l’amore come sensazione, non l’amore inteso come innamoramento ma l’amore che si è appreso, quell’amore legato alla conoscenza, al rispetto, alla coerenza: perché se dici di amare la natura ma poi nella vita di tutti i giorni tu scegli di mangiare ai piatti di plastica allora c’è qualcosa che non mi torna; se dici di amare ma poi giudichi e tratti male te stessa e il prossimo, non stai amando. Se dici di amare il tuo partner ma sei possessivo non lo ami. L’amore si impara e tutto il percorso dovrebbe in realtà ruotare proprio intorno a questo obiettivo: imparare l’amore. Verso se stessi, verso gli altri, verso il cosmo.
E l’amore si può imparare anche senza essere buddhisti e senza fare yoga. Fidati. Con questo non voglio sminuire tali pratiche (anche se alcune cose proprio non le condivido!) ma credo che esse vadano integrate con un percorso abbastanza importante sull’ombra (cioè sul proprio inconscio) e sulla realizzazione personale, nonché con un forte rispetto verso la natura che ci ospita (uno strumento che reputo particolarmente valido per acquisire consapevolezza e lavorare sull’ombra è sicuramente la floriterapia).
Altrimenti puoi fare miliardi di “percorsi” ma non ti serviranno assolutamente a nulla, se non a confonderti la testa. E lo sai perchè? Perché continuerai a sentirti scollegato da te stesso e dal resto dell’universo. Avrai appreso molte cose a livello tecnico e nozionistico, bene che ti vada ti sarai evoluto, forse, “culturalmente”… ma finisce là.
Autrice: dott.ssa Dhyana Cardarelli – Verde speranza blog (www.verdesperanza.net)
[Ultimo aggiornamento all’articolo: 6 marzo 2021]
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