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La figura del counselor è nata in America negli anni ’50 e i suoi pionieri sono Carl Rogers e Rollo May. Da quando si è diffusa questa professione, il mondo degli psicologi e degli psicoterapeuti si è scagliato contro di lei sostenendo che i counselor rubano il loro lavoro.
Questi tre professionisti hanno in realtà formazioni e competenze diverse e vanno ricercati per esigenze differenti.
PSICOTERAPEUTA: è l’unico dei tre che può fare, come dice il nome, la terapia. Questa figura si occupa di aiutare la persona a superare quei momenti di intensa sofferenza per i quali il sostegno dello psicologo non è sufficiente: disturbi nevrotici, traumi importanti, problemi di ansia e depressione, blocchi emotivi molto forti di cui il paziente si rende conto e che gli creano difficoltà nella vita quotidiana. La psicoterapia mira a ristrutturare la personalità del paziente (che in questo caso si chiama proprio paziente) e può durare a lungo, anche anni. Per diventare psicoterapeuta bisogna essere in possesso di laurea quinquennale in psicologia oppure medicina, essere iscritti all’albo (degli psicologi o dei medici) ed aver fatto un corso quadriennale di psicoterapia (il tutto con relativi tirocini e percorso psicoterapeutico su se stesso). La formazione è lunga perché, appunto, mira alla terapia.
Va comunque precisato che le persone che si rivolgono allo psicoterapeuta non necessariamente hanno problemi o grandi sofferenze, spesso infatti chi va da questo professionista vuole semplicemente fare un percorso interiore, vuole raggiungere determinati obiettivi, vuole stare meglio. In poche parole, potrebbe andare benissimo dallo psicologo ma preferisce lo psicoterapeuta.
PSICOLOGO: lo psicologo ha una laurea quinquennale in psicologia, è iscritto all’albo e ha svolto i relativi tirocini. Si occupa di fare consulenze, di fare sostegno psicologico a persone in difficoltà ma che comunque non necessitano di psicoterapia, si occupa di prevenzione del disagio, di fare diagnosi, certificati e di effettuare test. E’ molto esperto nel campo dell’apprendimento e dell’intelligenza. Svolge servizio in proprio oppure presso consultori, scuole, aziende, comunità. A differenza del counselor, può scavare nel passato, fare domande e fornire interpretazioni su ciò che il paziente espone.
COUNSELOR: Il counselor si occupa di chiarificazione, cioè di far sì che il cliente (qui si chiama cliente!) si chiarisca i propri dubbi in merito ad una scelta o ad un problema specifico, relativo al momento presente. E’ un intervento breve (generalmente di 5-6 incontri) svolto su soggetti sani ed è compito del professionista rendersi conto se il cliente ha bisogno di un aiuto più incisivo (e qui scattano spesso le polemiche, ad es.: “il counselor non possiede strumenti diagnostici e anche se li avesse non sarebbe comunque autorizzato ad effettuare diagnosi”; in realtà non si tratta di fare diagnosi ma di capire se il tema che porta quella persona sia o no di competenza del counselor o se invece serve un altro tipo di aiuto).
A livello di colloquio, egli fa in modo che il cliente arrivi da solo alla soluzione del problema riformulando ciò che questi dice in modo che, specchiandosi, abbia una visione più lineare e distaccata di ciò che sta vivendo. Il counseling, infatti, è – o per lo meno dovrebbe essere – un tipo particolare di colloquio e secondo me fa riferimento più all’ambito della comunicazione che a quello della psicologia.
Come si diventa counselor? Il alcuni Stati esteri il percorso formativo per diventare counselor rappresenta un vero e proprio corso di laurea; in Italia invece il counselor, generalmente, ha effettuato un corso privato – di solito triennale. Questo perché la professione di counselor, di cui esistono vari orientamenti ma quello “puro” è quello rogersiano, attualmente non è ancora riconosciuta dallo Stato italiano (così come quella di naturopata, floriterapeuta ecc.) e si presenta come libera professione consentita dalla legge, quindi non c’è un iter ufficiale da seguire e ogni scuola – per chi la frequenta – stabilisce un certo monte ore di lezioni e di tirocinio (le ore, comunque, sono quasi sempre almeno 650).
Attualmente in Italia si può frequentare una scuola di counseling anche con il solo diploma di scuola superiore, sebbene diverse scuole stiano iniziando a chiedere come requisito di accesso la laurea ma, non essendo una professione riconosciuta, chiunque senta di avere le competenze (ad es. un laureato in psicologia o in comunicazione, oppure chi ha già seguito diversi corsi in questo settore) può fare counseling.
Quello che è davvero importante, però, è che il counselor faccia davvero il counselor, cioè che sappia gestire la conversazione e non se ne esca con interpretazioni psicologiche del tipo “non hai ancora superato la morte di tuo padre” o quant’altro.
Cosa non fa: il counselor non dà consigli di alcun tipo (questo è molto importante poiché molti pensano che il counselor dia consigli); non consola; non fa diagnosi (o analisi) psicologiche; non scava nel passato; non interpreta (cioé non dice “ah, ma se è così allora forse significa che…”); non effettua test e, per lo meno il counselor puro (di stampo rogersiano), non fa domande. La sua funzione è quella di riformulare – senza togliere e senza aggiungere (sembra facile ma non lo è!) – al fine di favorire la riflessione (se il vostro counselor vi dà consigli, pareri o giudizi, molto probabilmente sta lavorando male. Sappiatelo.) –> Se vuoi sapere cosa fa e cosa non fa un counselor di stampo rogersiano leggi questo articolo
A partire dal modello rogersiano sono nate varie scuole di counseling (io ho frequentato per alcuni mesi una scuola ad indirizzo espressivo): alcune le reputo “buone”, in altre invece si insegnano troppe tecniche e si finisce per preparare gli allievi ad una professione che non è realmente quella del counselor o che sfocia troppo in quella di psicologo. Io penso che se i counselor facessero davvero i counselor (cioè si limitassero a creare condizioni per far riflettere il proprio cliente, senza intromettersi nel suo problema), gli psicologi non avrebbero motivo di “arrabbiarsi” con loro. Inoltre, sebbene i counselor battano molto sul fatto che essi lavorano su “soggetti sani” va ricordato che anche gli psicologi possono lavorare con soggetti sani, semplicemente si avrà una prestazione diversa poiché uno può interpretare e scavare nel passato, l’altro no. La differenza da marcare dovrebbe essere sull’esperienza che fa il cliente e non sul sano/non sano.
Di queste tre figure, l’unica che ha attualmente l’obbligo di aver fatto un certo monte ore di terapia su se stessa prima di prestare servizio lavorativo è quella dello psicoterapeuta ma non sono d’accordo su questa esclusiva perché credo che in qualsiasi professione di aiuto bisogna “concedersi” agli altri il più puliti possibile. Anche nelle scuole di counseling, per lo meno in quelle più serie, gli studenti fanno terapia su se stessi onde evitare pericolose proiezioni.
Bisogna infine precisare che oggi il termine “counselor” viene utilizzato nel linguaggio colloquiale anche per definire un semplice consulente, esperto in un determinato settore.
Autrice: dott.ssa Dhyana Cardarelli – Verde speranza blog (www.verdesperanza.net)
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NB. Questo articolo, sebbene riporti come giorno di pubblicazione il 15 giugno 2018, è stato scritto precedentemente (tra il 2017 e il 2018) ed era già pubblicato sul Verde speranza blog ospitato da Wix e Altervista. – Ultimo aggiornamento all’articolo: 10 marzo 2021, ore 22:38.
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Per approfondire il modello rogersiano di counseling:
Autocomprendersi per prendere una decisione. Università Popolare Rapallo